(Pubblicazioni della CIE, volume 19, ordinazioni direttamente alla casa editrice Chronos)

Die Schweiz, der Nationalsozialismus und das Recht.
II. Privatrecht

La Svizzera, il nazionalsocialismo e il diritto.
II. Diritto privato

A cura della CIE

Riassunti


Der Handel mit ausländischen Wertpapieren während des Krieges und die Probleme der deutschen Guthaben in der Schweiz sowie der nachrichtenlosen Vermögen aus rechtlicher Sicht
Aspetti giuridici del commercio in titoli esteri durante la Seconda Guerra mondiale e dei problemi attinenti agli averi tedeschi in Svizzera e ai beni non rivendicati

Frank Vischer

La ricerca illumina differenti aspetti giuridici del commercio in titoli esteri durante la Seconda Guerra mondiale, il problema degli averi tedeschi in Svizzera e degli averi non rivendicati. Fra i punti salienti del suo contenuto figurano, fra l'altro, la legislazione svizzera del 1945/46 sulla restituzione, l'Accordo di Washington del 25 maggio 1946 e il decreto federale del 20 dicembre 1962. Preliminarmente si fa accenno alle fonti di diritto in Svizzera prima dei decreti del Consiglio federale del 1945/46.

Fino alla fine della Seconda Guerra mondiale, il Consiglio federale non aveva ancora rilasciato nessun regolamento speciale di diritto civile in merito al commercio in titoli, rubati o confiscati, o in beni mobili, sulla base del diritto dei pieni poteri. Lo stesso vale, fino al decreto federale del 20 dicembre 1962, anche per gli averi non rivendicati. Per tutte le questioni riguardanti i beni rubati faceva stato, fino al decreto del Consiglio federale del 10 dicembre 1945 (Decreto sui beni rubati), l'ordinamento del diritto delle cose del Codice Civile svizzero (CC), con le sue disposizioni sull'acquisto, in buona o male fede, di beni mobili come anche di danaro e titoli al portatore (art. 933-936 CC). Per gli averi non rivendicati erano determinanti le disposizioni del Codice delle Obbligazioni, in particolare quelle sulla prescrizione e sui contratti essenziali per il traffico bancario.

Durante il periodo in questione non esisteva una regolamentazione del mercato borsistico svizzero a livello federale. Alla Confederazione mancava quindi di principio la possibilità di intervenire per regolare le contrattazioni borsistiche in titoli. Durante la Seconda Guerra mondiale, il Consiglio federale avrebbe tuttavia potuto, sulla base del diritto d'emergenza, emanare prescrizioni particolari per la tutela dei proprietari espropriati dall'occupante tedesco. Non fece questo passo probabilmente per ragioni politiche. La borsa stessa introdusse comunque cosiddetti affidavit (accettazione giurata). Fu così che nel dicembre del 1940 la contrattazione borsistica ufficiale in titoli olandesi, francesi, polacchi, danesi e norvegesi veniva sbloccata solo se questi erano muniti di un affidavit che ne confermava l'ininterrotta proprietà dal 2 settembre 1939, di uno svizzero domiciliato in Svizzera o di persone giuridiche, rispettivamente di società commerciali con sede in Svizzera. Il requisito dell'affidavit riguardava comunque solo il commercio in borsa, cosicché fuori borsa cambiavano mano anche i titoli senza attestato di proprietà svizzera. Più tardi vennero contrattati in borsa anche titoli con gli affidavit L1, che attestavano una proprietà svizzera solo a partire dal 1o giugno1944.

Nell'immediato dopoguerra, la Svizzera ha cercato con tre decreti federali di agevolare la rivendicazione dei valori patrimoniali rubati dalla potenza occupante nei territori da questa militarmente occupati. Al centro di questi sforzi figurava il decreto del Consiglio federale del 10 dicembre 1945 (decreto sui beni rubati). Secondo questa legge speciale, l'acquirente in buona fede, obbligato alla restituzione, poteva ottenere dal venditore in mala fede il rimborso del prezzo d'acquisto pagato. La Svizzera sottostava all'obbligo d'indennizzo nel caso che il venditore, o il suo predecessore – di regola una banca svizzera – fossero stati di buona fede e avessero acquistato questi titoli da una banca estera o da un venditore straniero contro i quali in Svizzera non fosse possibile procedere legalmente. In questi casi la questione della buona fede andava giudicata secondo le disposizioni generali dell'art. 3 del CC.

Nel periodo in questione, le banche svizzere diedero corso a ordini di trasferimento di averi e di trasmissione di titoli, su conti speciali di banche tedesche o austriache, se il cliente straniero stesso aveva sottoscritto tale ordine o il mandatario poteva dimostrare di essere in possesso di un'autorizzazione valida. Si deve partire dal presupposto che la sottoscrizione di tali ordini da parte delle vittime del nazismo si sia spesso svolta sotto pressioni e minacce. Da un punto di vista legale, le banche erano di principio tenute ad eseguire senza indugi gli ordini dei loro clienti. Nell'osservanza della buona fede tuttavia, le banche avrebbero dovuto rifiutare l'esecuzione di contratti nel caso dell'esistenza di motivi sufficienti per ritenere che l'ordine del cliente fosse stato estorto illegalmente.

Dopo la fine della guerra si pose la domanda sul come trattare i valori patrimoniali tedeschi giacenti in Svizzera. La Svizzera assunse in merito il punto di vista che l'espropriazione senza indennizzo dei beni tedeschi richiesta dagli Alleati fosse in estrema contraddizione con l'Ordre public svizzero. Sotto la massiccia pressione degli Alleati tuttavia, la Svizzera s'impegnò poi, nell'Accordo di Washington del 1946, a liquidare i valori patrimoniali di ogni sorta giacenti in Svizzera e appartenenti a tedeschi residenti in Germania. Va però rilevato che per quanto riguarda la questione dei beni tedeschi, l'Accordo di Washington non venne attuato secondo il suo contenuto.

Nella sua parte conclusiva il parere legale tratta le questioni giuridiche relative ai beni non rivendicati. Fra i problemi analizzati figurano l'apertura di conti e depositi, la prescrizione del diritto alla restituzione, l'obbligo alla conservazione delle azioni, la corresponsione degli interessi dei depositi in contanti, l'obbligo di amministrazione delle banche e la questione dell'obbligo di ricercare il cliente. Prima dell'entrata in vigore del decreto federale del 20 dicembre 1962 (decreto di notifica) queste questioni erano regolate dalle disposizioni ordinarie del Codice delle Obbligazioni e del Codice Civile svizzeri. Il decreto di notifica obbligava infine tutti gli amministratori di patrimoni operanti in Svizzera a notificare i patrimoni sui quali mancavano notizie attendibili dal 9 maggio 1945 e dei quali si poteva supporre che i loro ultimi proprietari conosciuti fossero diventati vittime di persecuzione razzista, religiosa o politica. Dopo la durata di validità decennale del decreto federale subentrarono nuovamente ed unicamente le norme del Codice Civile svizzero e del Codice delle Obbligazioni.


Die Rechtsprechung der schweizerischen Gerichte im Umfeld des nationalsozialistischen Unrechtsregimes auf dem Gebiet des Privatrechts, unter Einschluss des internationalen Zivilprozess- und Vollstreckungsrechts (Schwerpunkt Ordre public)
L'amministrazione della giustizia in materia di diritto privato attuata dai tribunali svizzeri nel contesto dell'ingiusto regime nazionalsocialista, compreso il diritto internazionale della procedura civile e dell'esecuzione (fulcro: Ordre public)

Adolf Lüchinger

La ricerca si occupa della questione di principio su come il confronto con l'ingiusto regime nazista abbia influito sulle sentenze dei tribunali cantonali e del Tribunale federale in materia di diritto privato. In primo piano figura l'applicazione della clausola dell'Ordre public nella prassi giudiziaria. Vengono analizzate soprattutto le sentenze attinenti al contesto dell'amministrazione forzosa, all'incapacità di succedere degli ebrei contemplata dal diritto civile nazista e all'esproprio dei titoli assicurativi. Viene inoltre esposta la giurisprudenza sulla questione dell'esecuzione delle sentenze tedesche in Svizzera. Lo studio inizia con alcune osservazioni di principio sulle funzioni dell'Ordre public nell'ambito del diritto privato internazionale della Svizzera.

La questione dell'Ordre public si pone sia nel caso che un giudice svizzero abbia lui stesso a giudicare secondo leggi straniere, sia che debba pronunciarsi sull'esecutorietà di una sentenza straniera in Svizzera. In ambedue i casi l'osservanza del diritto straniero è legata alla clausola restrittiva dell'Ordre public, ciò significa che non deve produrre un risultato contrario ai principi fondamentali del proprio ordinamento giuridico. L'Ordre public costituisce quindi una barriera all'applicazione dell'appropriato diritto straniero quale lo contempla il diritto privato internazionale della Svizzera; l'Ordre public ha la stessa funzione per quanto riguarda le sentenze straniere che andrebbero riconosciute ed eseguite in Svizzera.

Il riconoscimento e l'esecuzione di sentenze tedesche in Svizzera si conformavano alla Convenzione del 2 novembre 1929 fra la Svizzera e il Reich Germanico circa il reciproco riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni giudiziarie e delle sentenze arbitrali. Secondo questa convenzione, le decisioni tedesche che avevano acquistato forza di cosa giudicata andavano di principio riconosciute senza ulteriore esame del loro contenuto, nella misura in cui i tribunali tedeschi fossero stati, secondo le norme del trattato di Stato, competenti a giudicare il contenzioso. Nell'art. 4 tuttavia la Svizzera si riservava il ricorso all'Ordre public. Ed è a questa clausola che i tribunali svizzeri si richiamarono per impedire l'esecuzione di giustiziali ingiustizie naziste in Svizzera. Nella ricerca si accenna al caso UFA contro Thevag che il Tribunale federale ebbe a giudicare nel 1936. In questo caso il tribunale si rifiutò di riconoscere il diritto di recesso contrattuale fatto valere dalla Universum-Film-Aktiengesellschaft (UFA) a causa dell'«appartenenza razziale» del regista cinematografico Erich Löwenberger: una tale interpretazione della controversa clausola contrattuale – sostennero i giudici – contraddirebbe l'eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge quale principio portante dell'ordinamento giuridico svizzero (art. 4 della Costituzione federale del 1874) e violerebbe quindi chiaramente l'Ordre public svizzero. Con la sua sentenza del 17 settembre 1937, il Tribunale federale negò l'esecuzione dell'arbitraria giustizia nazista anche nel caso Gustav Hartung contro Volksstaat Hessen (Stato del popolo dell'Assia): considerò il diniego di un indennizzo al direttore del teatro statale di Darmstadt, licenziato in tronco in seguito all'avvento del regime nazista, una contravvenzione all'Ordre public nel senso della Convenzione tedesco-svizzera circa l'esecuzione delle sentenze.

Uno strumento della politica di esproprio e spogliazione del regime nazista nei confronti degli ebrei fu la sottomissione delle «imprese ebraiche» all'amministrazione statale forzosa. Nei casi analizzati, i tribunali svizzeri si rifiutarono di attribuire a questa misura un valore legale in relazione ai patrimoni depositati in Svizzera. Nel caso Thorsch ad es., il tribunale d'appello zurighese constatò che la sottomissione all'amministrazione forzata contravveniva all'Ordre public poiché nei suoi effetti corrispondeva ad un esproprio senza indennizzo. Nella sentenza del Tribunale federale del 22 dicembre 1942, pronunciata nel caso Böhmische Unionbank contro Heynau, trovò chiara espressione la contrarietà dell'amministrazione coatta nazista all'Ordre public: trattasi di una misura in estrema contraddizione con il principio di tutela della proprietà privata e con le norme fondamentali dell'ordinamento giuridico svizzero.

Non meno coerenti le sentenze dei tribunali in merito all'incapacità di successione degli ebrei nel «Terzo Reich». In un caso, nel quale il tribunale d'appello del canton Zurigo era chiamato a pronunciarsi il 25 settembre 1942, si trattava dell'esercizio di un diritto di successione in Svizzera da parte dei discendenti, residenti a Londra, di un autore della successione ebreo che era deceduto in Germania. Gli eredi avevano posto sotto sequestro in Svizzera valori patrimoniali facenti parte dell'eredità e intrapreso un'azione di restituzione della loro quota ereditaria, contro i discendenti residenti a Berlino. Quest'ultimi invocarono l'11a ordinanza della legge germanica sulla nazionalità del 25 novembre 1941, secondo la quale patrimoni e diritti alla successione di ebrei privati della cittadinanza decadevano in proprietà al Reich. La corte d'appello del canton Zurigo accolse la querela argomentando che tale ordinanza contravvenisse al principio d'uguaglianza quale «assioma fondamentale» dell'ordinamento giuridico svizzero (Ordre public) e fosse quindi irrilevante per il giudice svizzero.

Finalmente, il parere legale illumina la giurisprudenza dei tribunali svizzeri attinente all'esproprio di titoli assicurativi nel «Terzo Reich». In questo ambito, la sentenza del Tribunale federale nella causa che opponeva la Società svizzera di assicurazioni generali sulla vita dell'uomo (Rentenanstalt) a Julius Elkan, assume un significato particolare. Elkan – un ebreo tedesco che aveva stipulato un'assicurazione sulla vita con la Società svizzera di assicurazioni generali sulla vita dell'uomo (Rentenanstalt) – promosse un'azione legale per accertare che la Società svizzera di assicurazioni generali sulla vita dell'uomo (Rentenanstalt), trasferendo il valore di riscatto dell'assicurazione sulla vita alle autorità tedesche non aveva esaurito gli obblighi derivanti dal contratto assicurativo. Diversamente dal Tribunale d'appello zurighese, il Tribunale federale, nella sua sentenza, arrivò alla conclusione che l'esenzione della Società svizzera dai suoi obblighi verso Elkan non rappresentasse nessuna violazione dell'Ordre public svizzero. V'era piuttosto da considerare, sostenne, che nel caso specifico ci si trovasse di fronte ad un intervento giuridico perfezionato e quindi irrevocabile. L'autore esprime i suoi dubbi sulla correttezza della decisione del Tribunale federale, rilevando in particolare che l'attività svolta nella Germania nazista dalla società assicurativa accusata, comportava inevitabilmente dei rischi particolari – fra i quali anche il pericolo di un doppio pagamento.


Rechtsfragen zum Handel mit geraubten Kulturgütern in den Jahren 1933–1950
Problemi giuridici attinenti al commercio di beni culturali rubati negli anni 19331950

Kurt Siehr

La ricerca riguarda problemi giuridici attinenti al commercio di beni culturali rubati negli anni 1933-1950. Nella prima parte del parere legale viene esposta la situazione di diritto vigente in Svizzera all'epoca in questione. In primo piano vi figurano i principi di diritto privato relativi all'acquisto a titolo derivativo da non aventi diritto («a non domino») e il decreto sui beni rubati del 10 dicembre 1945. La seconda parte della ricerca si occupa dei principi fondamentali del rimpatrio di beni culturali, quali vennero applicati in diversi stati stranieri e vengono tuttora osservati.

Il Codice Civile svizzero contempla l'acquisto derivativo in buona fede di beni mobili «a non domino». In merito vanno distinte due situazioni rilevanti per il commercio di beni rubati: se il legittimo proprietario ha affidato l'opera d'arte ad una persona (rinuncia volontaria del possesso) e questa aliena il bene culturale ad un acquirente in buona fede, allora il diritto di proprietà passa all'acquirente (art. 933 CC). Se il proprietario legittimo di un bene culturale perde contro la sua volontà il possesso su di esso, allora l'acquirente in buona fede acquisisce questo oggetto dopo un termine di decadenza di 5 anni (art. 934 cpv. 1 CC). Per l'acquisto all'asta pubblica ( ad es. asta d'arte) vale una regola speciale: un tale acquisto viene privilegiato, in quanto, prima della decorrenza del termine di decadenza di 5 anni, il possessore deve restituire l'oggetto d'arte al proprietario solo dietro compenso del prezzo da lui (possessore) sborsato (art. 934 cpv. 2 CC).

In base a queste norme di diritto civile, in vigore anche durante l'epoca nazista, un compratore in buona fede poteva acquistare legittimamente "beni rubati nazisti» in Svizzera, sia immediatamente, sia dopo un termine di decadenza di 5 anni. In buona fede era il compratore al quale, secondo l'art. 3 cpv. 2 del CC, non si poteva rimproverare la mancata consapevolezza dell'origine illegale dei beni rubati. La buona fede presupponeva quindi una determinata diligenza; malgrado le particolari qualità delle opere d'arte, unicità e valore di mercato variabile, la dottrina contemporanea e l'amministrazione della giustizia non presupponevano un obbligo dei mercanti d'arte ad una diligenza accresciuta. Solo recentemente è prevalsa, nelle decisioni delle più alte istanze giudiziarie, l'opinione che, per quanto riguarda il commercio d'arte, la diligenza richiesta dalla legge ai partecipanti deve soddisfare criteri più esigenti.

Sullo sfondo di diverse dichiarazioni e convenzioni degli Alleati – realizzate durante la Seconda Guerra mondiale – (Dichiarazione di Londra del 5 gennaio 1943, Accordo di Bretton Woods del 22 luglio 1944, «Accordo Currie» dell'8 marzo 1945, Leggi sul consiglio di controllo del 1945) il Consiglio federale approvò il 10 dicembre 1945 il decreto concernente le azioni legali volte ad ottenere la restituzione dei beni sottratti durante la guerra nei territori occupati (decreto sui beni rubati). Il decreto sui beni rubati riconosceva alle vittime derubate la possibilità temporanea, fino al 31 dicembre 1947, di richiedere la restituzione dei beni culturali rubati e ciò indipendentemente dalla buona o mala fede dei possessori attuali. Gli acquisitori (in buona fede) di beni rubati, obbligati secondo il decreto sui beni rubati alla restituzione, avevano diritti di regresso nei confronti dei venditori e in via subordinata un diritto d'indennizzo nei confronti della Confederazione se l'alienante in mala fede era insolvente o non poteva essere chiamato in causa in Svizzera.

La Camera dei beni rubati del Tribunale federale, secondo il decreto federale competente in materia di rivendicazioni di beni rubati, si occupò di azioni di restituzione, rispettivamente di regresso in parecchi processi concernenti tali beni. I processi di restituzione esaminati dall'autore si contraddistinguono per il fatto che tutte le opere d'arte rivendicate furono restituite, sia per decreto dell'autorità giudiziaria, sia volontariamente. Nei processi di regresso contro i mercanti d'arte e la Confederazione, venne riconosciuta la buona fede che sia i compratori sia i commercianti d'arte avevano fatto valere; della negligenza dei mercanti si tenne conto, quale fattore riduttivo, solo al momento della determinazione dell'indennizzo.

Nella seconda parte della ricerca, l'autore analizza i principi fondamentali del rimpatrio di beni culturali (modelli di regolamentazione) applicati in diversi paesi stranieri. Egli giunge alla conclusione che nei confronti delle domande di restituzione, la Svizzera si comportò non molto diversamente da altri stati in situazioni paragonabili.


Die Geschäftstätigkeit der Schweizer Lebensversicherer im «Dritten Reich». Rechtliche Aspekte und Judikatur
Le attività commerciali degli assicuratori della vita svizzeri nel «Terzo Reich». Aspetti legali e giurisprudenza

Eric L. Dreifuss

Nella prima parte della ricerca vengono esposte le condizioni quadro giuridiche pertinenti all'attività delle compagnie assicurative svizzere in Germania all'epoca della dittatura nazista e dopo la fine della guerra. Nella seconda parte, il parere legale illumina i diversi aspetti di una valutazione giuridica dell'attività degli assicuratori svizzeri in Germania. Al centro vi figurano la stipulazione di polizze in valuta straniera e la loro conversione, come anche la confisca di polizze di assicurazioni sulla vita nel «Terzo Reich».

Per un giudizio sull'attività commerciale degli assicuratori della vita svizzeri nel «Terzo Reich» è importante la domanda sulle condizioni quadro giuridiche entro le quali tale attività doveva svolgersi. A questo proposito va in prima linea considerato l'allora determinante diritto concernente la vigilanza sulle assicurazioni. Durante il periodo in questione, per gli assicuratori operanti in Germania faceva stato la legge sull'esercizio delle assicurazioni private e delle casse di risparmio del 12 maggio 1901 (VAG Versicherungsaufsichtsgesetz). Secondo il VAG, gli assicuratori svizzeri sottostavano, in quanto imprese assicurative d'importanza sopraregionale, all'ufficio di vigilanza del Reich; necessitavano inoltre di un cosiddetto procuratore generale indigeno (tedesco) domiciliato in Germania. Nello studio si dimostra che ai contratti stipulati da assicuratori svizzeri in Germania trovò di principio applicazione la legge tedesca sui contratti d'assicurazione.

L'autore riferisce che a causa delle condizioni economiche instabili nella Germania degli anni '20, esisteva una forte domanda di polizze in valuta estera. Gli assicuratori svizzeri operanti in Germania si trovarono perciò confrontati con innumerevoli richieste di persone che volevano stipulare un'assicurazione sulla vita in franchi svizzeri. Questa domanda venne soddisfatta dalle assicurazioni svizzere. Lo studio discute poi la questione se e in che misura le società svizzere abbiano, in mala fede, ispirato la fiducia che un giorno le somme contratte sarebbero poi state pagate in ogni caso nella valuta straniera stipulata.

Il decreto del 1934 in materia di diritto valutario fece sì che per il pagamento dei premi attinenti a polizze in valuta estera non ci fossero più divise a disposizione. Le polizze esistenti dovettero quindi venir trasformate o in assicurazioni esonerate dal pagamento dei premi, o in assicurazioni in marchi tedeschi con una quota in moneta estera pari all'ammontare della riserva premi già accumulata in valuta. Alla conversione negoziale delle polizze in valuta estera fece seguito, nel 1938, la conversione legale con la quale le polizze in valuta estera ancora esistenti furono trasformate del tutto in assicurazioni in marchi tedeschi.

In merito a ciò l'autore discute, fra l'altro, la questione se per gli assicuratori svizzeri fosse esistito un margine giuridico sfruttabile nell'applicazione concreta del diritto valutario tedesco. Ciò facendo distingue fra la situazione del 1934 e quella del 1938. Gli assicuratori non avrebbero violato la lettera della circolare del 1934 se avessero solo offerto la conversione e nello stesso tempo cercato alternative più adeguate alle esigenze degli assicurati. Nel 1938 la situazione era fondamentalmente diversa: la legge sulla conversione rese, di diritto, immediatamente effettiva la conversione delle assicurazioni in valuta estera in assicurazioni in marchi tedeschi. L'autore si occupa inoltre della questione se le conversioni siano state compatibili con le disposizioni contrattuali. Ancora una volta va operata una distinzione fra due situazioni: nel 1934 gli assicuratori erano unicamente tenuti a proporre la conversione in marchi tedeschi agli assicurati; se l'assicurato non accettava ciò non modificava in nessun modo il contratto assicurativo. La conversione totale del 1938 avvenne invece ex lege, così che la domanda sulla compatibilità con le disposizioni contrattuali non si pose.

Nel settore delle assicurazioni, il depredamento economico degli ebrei in Germania e nei territori occupati si manifestò in particolare con la confisca delle polizze delle assicurazioni sulla vita. Le autorità tedesche s'impossessarono dei valori assicurativi degli ebrei ingiungendo alle società d'assicurazione di versare le prestazioni assicurative e i capitali di riscatto non più agli assicuratori bensì direttamente agli uffici delle finanze. In questo contesto si presentano diverse questioni giuridiche che l'autore discute sulla scorta di tre casi giudiziari:

Ci si può ad es. chiedere se le compagnie assicurative, in base al loro dovere di fedeltà, non avessero dovuto sentirsi obbligate almeno a differire il pagamento. Riassumendo appare giustificata la constatazione della Corte federale di giustizia che un assicuratore ha in ogni caso violato il suo dovere contrattuale di fedeltà quando «avesse effettuato il versamento agli Oberfinanzpräsidenten (direttori degli uffici di finanza regionali) in maniera eccessivamente condiscendente e senza aver intrapreso il minimo tentativo per evitare la confisca del valore di riscatto da parte di questi».

In relazione alle confische di polizze delle assicurazioni sulla vita nel «Terzo Reich», assume inoltre particolare importanza l'Ordre public. Nella sua sentenza del 27 maggio 1952 il tribunale d'appello zurighese sostenne il punto di vista che l'estinzione del credito d'indennità d'assicurazione del ricorrente (Jiulius Elkan), «per ragioni d'Ordre public svizzero, sia in Svizzera da considerare non avvenuta». Il Tribunale federale condivise sì l'opinione che la legislazione razziale nazista violasse di principio l'Ordre public svizzero, ma aggiunse che non s'imponesse d'ignorare l'intervento giuridico concretato (fatto compiuto) e ingiungere alla compagnia assicurativa un obbligo di doppio pagamento.

Per quanto riguarda la decisione del Tribunale federale nel caso Elkan, l'autore conclude facendo considerare come la questione del doppio pagamento sulla base dell'Ordre public sia estremamente difficile da risolvere. L'apprezzamento del giudice su cosa sia giusto e equo assume nel caso citato un'importanza rilevante. Ma proprio questi casi, dove l'apprezzamento si rivela importante, continua l'autore, danno modo al giudice di intervenire nel ragionamento normativo anche con considerazioni morali.

(Versione originale in tedesco)