(Pubblicazioni della CIE, volume 9, ordinazioni direttamente alla casa editrice Chronos)

Tarnung, Transfer, Transit.
Die Schweiz als Drehscheibe verdeckter deutscher Operationen (1938-1952)

Copertura, trasferimento, transito.
La Svizzera come piattaforma per operazioni tedesche coperte (1938-1952)

Christiane Uhlig, Petra Barthelmess, Mario König, Peter Pfaffenroth, Bettina Zeugin

Riassunto

Dopo la caduta del potere nazionalsocialista, gli spostamenti di patrimoni e la fuga di tedeschi politicamente compromessi verso paesi esteri sicuri sono diventati, come pochi altri avvenimenti, oggetto di congetture e speculazioni straripanti. Fino ad oggi la Svizzera viene indicata, in questo contesto, quale meta delle fughe o centro d'importanti prestazioni di servizio. Questo studio presenta materiali e risultati che per la prima volta permettono di tracciare in maniera più precisa i contorni di tali fenomeni.

La ricerca si concentra sui quindici anni dal 1938 al 1953, risale tuttavia puntualmente fino alla prima guerra mondiale e agli anni '20 e '30, quando i servizi della piazza finanziaria svizzera, ai quali si è accennato qui sopra, ricevettero un'impronta decisiva. L'inizio del contingentamento tedesco delle divise, nel 1931, rappresenta una svolta importante, a partire dalla quale il trasferimento di patrimoni verso la Svizzera da parte di tedeschi venne sempre più spinto nell'illegalità. Durante l'immediato anteguerra e dopo l'inizio della guerra, quando la mancanza di divise rappresentò uno dei problemi chiave dell'economia tedesca, gli ostacoli contrapposti ad ogni spostamento di patrimoni all'estero divennero massicci. Anche gli Alleati incominciarono allora a mostrare un interesse crescente per tutte le operazioni tedesche che si svolgevano sotto coperture svizzere. La spinta alla segretezza che ne risultò (inclusa la distruzione di documenti avvenuta più tardi), ha pesanti conseguenze per la chiarificazione di tali avvenimenti. L'accesso agli archivi di ditte svizzere, accordato nel quadro di questa ricerca, ha permesso solo progressi limitati. Più informativi sono stati invece gli archivi pubblici di diversi paesi, dai quali, partendo da differenti prospettive, si possono ricavare materiali su attività e autori tedeschi; vi fanno parte anche le informazioni dei servizi segreti, da trattare con le dovute precauzioni, ma soprattutto le ricerche effettuate nell'immediato dopoguerra. Questi materiali non permettono di ottenere precise indicazioni quantitative, ma lasciano emergere tipicità strutturali, svolgimenti ricorrenti, operatori d'importanza centrale appartenenti ad ambo le parti e anche il comportamento delle autorità, che in Svizzera introdussero misure di controllo solo tardi e sotto la pressione degli Alleati.

La ricerca tratta nella Parte I (capitoli 3-5) le tre tematiche che le danno il titolo, dove ognuna si conclude con un piccolo studio di caso; vi fa seguito l'analisi di un gruppo di intermediari svizzeri molte volte nominato ma mai studiato più da vicino, e cioè i legali specializzati nella tutela degli interessi economici (capitolo 6). La Parte II tematizza in particolare gli interventi delle autorità, e cioè degli Alleati con la loro operazione «Safehaven» (capitolo 7) e anche delle autorità svizzere. Il capitolo 10 discute l'entità documentata, rispettivamente presumibile, dei valori patrimoniali tedeschi giunti in Svizzera. Il capitolo conclusivo, capitolo 11, espone con maggiori dettagli il caso esemplare delle operazioni di alcuni rappresentanti tedeschi del piano quadriennale, che operarono con successo in tutti e tre i campi (camuffamento, trasferimento, transito) garantendosi l'esistenza oltre la fine della guerra, con il deposito di beni rubati e la fuga personale in Svizzera, rispettivamente più tardi in America Latina.
Gli elementi centrali delle operazioni coperte tedesche in Svizzera sono:

1. La copertura (Camouflage) di interessi economici tedeschi all'estero mediante una simulata «elvetizzazione» di ditte e partecipazioni. I camuffamenti rappresentano un procedimento caratteristico dei primi mesi di guerra (1939/40), quando l'industria d'esportazione tedesca si trovò di fronte all'imminente perdita delle partecipazioni e organizzazioni di vendita internazionali. La grande industria, memore delle esperienze del 1917/18, incominciò già dal 1937 ad adottare provvedimenti adeguati, facendo ricorso a intermediari svizzeri per trasferire loro temporalmente partecipazioni e pacchetti azionari di controllo. Il reclutamento di rispettati legali o banche, per tali servizi diretti contro gli Alleati, non presentò nessuna difficoltà. Dalla parte tedesca, una rete di uffici dei cambi, ministeri e associazioni economici dirigeva centralmente lo svolgimento delle operazioni e sorvegliava attentamente che in questo contesto non si sviluppasse una fuga di capitali nascosta. Tipici erano gli accordi coperti che stipulavano il posteriore riacquisto tedesco delle relative partecipazioni. Da tali intese, a volte solo verbali, dopo la fine della guerra, risultarono occasionalmente anche dei conflitti, quando gli svizzeri interessati cercarono di sfruttare la temporanea incapacità d'agire tedesca per appropriarsi definitivamente dei valori patrimoniali.

Quantitativamente il numero di ditte tedesche camuffate in Svizzera si può stimare a parecchie centinaia. La maggior parte finirono ben presto sulle liste nere degli alleati. Tipica l'ambivalenza di queste strutture di copertura che secondo il corso degli avvenimenti potevano venir interpretate in diversi modi: alcuni camuffamenti dovuti all'economia di guerra, una volta le condizioni cambiate, si lasciavano presentare come operazioni volte a proteggere il proprio capitale dalle grinfie nazionalsocialiste (a volte ciò era perfino vero). Molte volte i camuffamenti economici rappresentavano primariamente una posizione d'attesa per i tempi dopo la guerra; non avevano nessuna ulteriore funzione importante. Singole ditte invece svolgevano molto attivamente precisi compiti nell'ambito dell'economia di guerra tedesca; nel nostro contesto interessa soprattutto l'approvvigionamento di divise mediante ogni sorta di transazioni coperte, anche mediante la vendita di beni rubati.

2. Il trasferimento di valori patrimoniali tedeschi in paesi neutrali. Questa operazione acquistò importanza specialmente durante la seconda metà della guerra, quando la probabile sconfitta ed infine l'occupazione della Germania incominciarono a delinearsi. Gli imprenditori tedeschi ritenevano che le loro partecipazioni nei territori controllati dagli alleati – come già durante la prima guerra mondiale – sarebbero state confiscate, mentre i valori patrimoniali nei paesi neutrali potevano possibilmente essere salvati per svolgere nel futuro nuovamente un ruolo prezioso nella fase di riallacciamento delle relazioni commerciali internazionali. Il trasferimento di patrimoni tedeschi assunse numerose forme. Operazioni tipiche, indici della tendenza a defilarsi diffusa fra gli industriali, erano lo stabilimento di riserve finanziarie mediante false fatturazioni, la costituzione di scorte di merci o la variazione di intere produzioni. Molto più difficile da accertare è il trasferimento di patrimoni dell'élite nazionalsocialista che cercava così di garantirsi l'esistenza individuale e eventualmente anche quella politica al di là della sconfitta, un'operazione che preoccupava particolarmente gli Alleati. Nel caso di tali patrimoni inoltre, era ovvio sospettare che la loro origine risalisse a coercizione e rapina. È comunque documentabile il vasto commercio di banconote, titoli rubati e diamanti. La critica degli Alleati era ben lungi dal colpire ogni volta nel segno: singole ditte svizzere fortemente sospettate di trasferimenti di beni, come ad esempio l'istituto bancario Johann Wehrli & Co. AG di Zurigo, dovettero evidentemente fare da capro espiatorio anche per altri operatori non accertabili. A carico di questa banca non si poterono mai documentare transazioni di tale ampiezza e importanza come le venivano imputate. I problemi di documentazione di tali avvenimenti rimangono comunque immensi.

Entità e origine di tali patrimoni si sottraggono ad ogni tentativo di precisazione. Questo vale soprattutto per le relazioni bancarie e i depositi di averi di criminali e anche l'accesso agli archivi bancari non è stato di grande aiuto (vedi capitolo 4.3). Non si sono potuti individuare conti bancari in Svizzera appartenenti a dirigenti nazionalsocialisti, per contro sono state accertate alcune relazioni bancarie di rappresentanti delle élites economico-diplomatiche. I rilevamenti di patrimoni tedeschi in Svizzera, effettuati dall'Ufficio di compensazione poco dopo la guerra, accertarono valori per più di 1 miliardo di franchi, una cifra che per buone ragioni va sostanzialmente corretta verso l'alto: complessivamente si possono presupporre patrimoni per un valore superiore ai 2 miliardi di franchi; i consegnatari svizzeri si erano in gran parte sottratti all'obbligo ufficiale di notifica. Le stime contemporanee, o le corrispondenti congetture della più recente pubblicistica, in parte di molte volte superiori, non hanno trovato conferma. È invece significativo che due terzi dei patrimoni tedeschi accertati dallUfficio di compensazione siano giunti in Svizzera solo dopo l'inizio della guerra e questo malgrado le limitazioni e i controlli tedeschi sui trasferimenti di capitali. Le autorità svizzere preferirono dal canto loro parlare di depositi tedeschi per la maggior parte vecchi e quindi indubbi, nascondendo così, agli Alleati e all'opinione pubblica svizzera, questo risultato centraledelle proprie ricerche. Ad ulteriori domande sull'ampiezza del servilismo unilaterale a favore della parte belligerante tedesca, venne così sottratto ogni appiglio.

3. Il transito personale di tedeschi nei paesi neutrali, rispettivamente verso oltremare. Tali movimenti, che si compivano nel disordine della sconfitta tedesca e dei primi mesi dell'occupazione, dovevano superare le limitazioni degli spostamenti e i controlli delle autorità imposti da ogni parte e presupponevano una rete d'appoggio in Svizzera. Si presentarono allora, come fuggiaschi dal crollo nazionalsocialista, tedeschi con ogni evidenza politicamente compromessi, ma anche persone che cercavano di garantirsi il loro avvenire professionale portando con sé, ad esempio, il loro know how tecnico-scientifico che fino a poco tempo fa avevano messo al servizio dello systema nazionalsocialista.

In questo ambito le prove quantitative sono particolarmente problematiche. Si può però affermare con certezza che tali movimenti di sganciamento verso la sicura Svizzera ebbero effettivamente luogo – malgrado le smentitesvizzere contemporanee o posteriori. Alcuni rami industriali, la produzione di fibre sintetiche (Hovag) per indicarne uno, profittarono dopo la guerra del know how tedesco ricorrendo, ad esempio, a ex-chimici della IG-Farben. Anche persone indiziate di crimini di guerra trovarono occasionalmente protezione in Svizzera, nella misura in cui disposero di contatti nel paese e della possibilità di presentarsi sotto il pretesto di essere d'utilità economica. I più grandi criminali di guerra (Adolf Eichmann, Josef Mengele e altri), per quanto accertabile, non soggiornarono a lungo in Svizzera, ma dopo la guerra poterono profittare di documenti di viaggio rilasciati loro dal Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) in Italia, senza che questi ne fosse a conoscenza per la mancanza di controlli adeguati. Si erano presentati con nomi falsi per organizzare, con l'aiuto dei documenti così ottenuti, la fuga verso l'America Latina.

Le attività analizzate negli ambiti della copertura, del trasferimento e del transito, si sono rivelate particolarmente efficienti quando hanno potuto disporre di vecchie reti relazionali. Queste risalivano in parte fino agli anni '20. Solo in rari casi il motivo che guidò le azioni degli svizzeri implicati furono le loro personali simpatie per il nazionalsocialismo. Il più delle volte erano dell'opinione che anche i loro partner commerciali tedeschi fossero rimasti «decenti». In questa costellazione la richiesta di rendere pubbliche le transazioni, avanzata dai vincitori alleati, incontrò forte resistenza. Le persone che avevano «servito alla Svizzera» potevano anche contare sulla comprensione e la protezione delle autorità, malgrado fossero politicamente molto compromesse a conseguenza di funzioni e attività svolte nell'ambito dell'economia di guerra tedesca. Le autorità miravano, da un lato, alla salvaguardia degli interessi della piazza finanziaria, e cioè della sua reputazione quale luogo di sicura custodia di patrimoni stranieri – senza badare alla loro origine – dall'altro lato ritenevano che la Germania sarebbe rimasta anche in futuro un importante partner commerciale della Svizzera.

In questa costellazione, gli averi tedeschi in Svizzera, che secondo l'accordo di Washington del maggio 1946 avrebbero dovuto essere liquidati, rimasero intatti grazie all'ostinazione e alla tattica dilatoria dei negoziatorisvizzeri e furono restituiti ai loro proprietari tedeschi nel corso degli anni '50. L'inizio della guerra fredda attenuò anche l'interesse degli Alleati vincitori per il ruolo svolto dallo stato neutrale nell'ambito delle transazioni tedesche. Sul fronte della politica interna, parallelamente all'allentamento della pressione esterna, la disponibilità della Svizzera a proseguire nelle ricerche laboriose si ridusse massicciamente. La veemente critica degli Alleati, che in Svizzera aveva, fin dall'inizio, incontrato molta incomprensione, cadde quasi completamente nell'oblio. Il ricordo dei molteplici servizi economici prestati, a partire dalla Svizzera, ai tedeschi belligeranti è sopravvissuto unicamente come «diceria». E solo negli anni '90 sono riemerse le vecchie questioni assumendo, nel quadro delle rinnovate richieste di restituzione, ancora una volta un significato materiale.

(Versione originale in tedesco)